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Chris e Gus

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    August Nørgaard
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    “Un’altra settimana, il mio medico vuole essere sicuro che la gamba si sia ripresa del tutto”, una piccola bugia plausibile e detta a fin di bene - in un certo senso -, ma pur sempre una bugia, al principe di Danimarca. Io e Chris ormai potevamo definirci compagni, anche se, complici il mio infortunio e la sua inesperienza, non avevamo ancora praticamente fatto niente di compromettente, in realtà su molti fronti sembravamo due adolescenti alle prime armi, ma non mi dispiaceva che le cose procedessero lentamente, non troppo almeno. Lui era ancora molto giovane e mi piaceva molto, abbastanza da decidere di mentirgli sulla data del mio rientro per fargli una stupida sorpresa, non gli avrei messo fretta. Avevo passato un mese con la gamba ingessata dopo un week-end all’insegna degli scii insieme ad un gruppo di vecchi amici. Non era la prima volta che le mie acrobazie mi facevano finire con un gesso avvolto ad un arto ma questa volta la cosa mi aveva seccato più del solito. In primis c’era il nuovo, importante, lavoro che avevo iniziato da pochi mesi al palazzo reale, mai nella vita avrei voluto che me lo togliessero ed in secondo luogo, c’era quel rapporto che stavo instaurando col principe Christian Estridsen, la persona che tecnicamente avrei solo dovuto proteggere ma che, lentamente mi stava attraendo a se senza che io riuscissi a fare niente per impedirlo. Non era stato facile accettare i miei sentimenti per lui, dopo il primo bacio avevo cercato di evitare persino di parlargli, ma alla fine lui aveva avuto la meglio su tutte le mie scuse. Non era stato facile mantenere una relazione segreta ed in quel mese era stato un inferno mantenerla segreta ed a distanza, a volte lui veniva a trovarmi a casa ma non così spesso quanto entrambi avremmo voluto. Per molti aspetti, quindi, ero una delle poche persone al mondo che non vedeva l’ora di tornare a lavoro e quel giorno era arrivato. La gamba era tornata forte, ed avevo anche ripreso ad allenarmi, potevo lavorare.
    Nelle prime ore di quella mattinata però sarebbe stata un’altro bodyguard a sorvegliare Chris, perché io sarei stato impegnato con le scartoffie, sopratutto con quelle per riprendere la pistola. Quando finalmente il mio responsabile mi disse che avevo finito con i moduli e dove potevo trovare Chris ed il collega a cui dare il cambio, sorrisi. Erano passate due ore dal mio rientro e già ero diretto verso quella bestia assetata di sangue.
    Il principino mi aveva spiegato che era un cucciolo speciale, addestrato in modo tale da sopravvivere all’ambiente ostile della Groenlandia ma...questo non mi impediva di provare un certo timore nei confronti di Ivalo. Attraversai il parco, dirigendomi verso il recinto del lupo, più mi avvicinavo più vedevo con chiarezza: anche il mio collega si premurava di stare ad almeno una decina di metri dall’animale. Quando mi scorse fuori dal recinto, vidi distintamente l’espressione di sollievo dipinta nel suo volto. Era così contento di allontanarsi dal lupo che probabilmente non si rese neanche conto dell’ampio sorriso tutt’altro che professionale che rivolsi a Chris. «Olsen, puoi andare... Da oggi rientro in servizio», dissi con tono tranquillo, per poi guardare il principe. «Prins Christian», dissi con una piccola riverenza del capo. Il gesto fu imitato da Olsen in segno di saluto, aspettai che sparisse dalla mia vista prima di dire altro, ma non fu un’attesa lunga, Ivalo non doveva essere stato di buona compagnia per il mio sostituto. Non che io facessi eccezione... Il lupo non provava simpatia per nessuno che non fosse Chris, anche il quel momento, mentre stava seduto ai piedi del suo padrone, mi guardava storto. Cercai di ignorarlo per quanto possibile, concentrandomi solo sul ragazzo. Un altro largo sorriso piegò le mie labbra verso l’alto. «Volevo farti una sorpresa», dissi semplicemente avvicinandomi di qualche passo, per poi ricordarmi del, tutt’altro che docile, animale da compagnia lì presente. Non era mai stato incline a tollerare i baci. Forse pensa che voglia mangiare la faccia al suo padrone. Aspettai che fosse Chris a fare la prima mossa, ma fui ben attento che non ci fosse nessuno nei paraggi. Conoscevo anche la posizione delle telecamere e sapevo che nel giardino solo i perimetri di cancello e palazzo erano sorvegliati, tutto il resto era libero, anche perché nessuno di preoccupava che qualcuno potesse rapire Ivalo. Sventurato il poveretto che ci prova.
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    Prins Christian
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    Non in molti si potevano dire fortunati di avere il mio numero privato, di sicuro non qualcuno che lavorava per me come la mia guardia del copro. Gus lo aveva, ma perchè lui era tutt'altro che un'estraneo alla mia vita. Eravamo sempre assieme, perchè io e lui avevamo capito di piacerci, anzi, io mi definivo addirittura innamorato di lui, ero certo di garantire sulla nostra relazione. Tuttavia data la mia posizione non potevo di certo permettermi di fare le cose normalemte, motivo per il quale la nostra era una relazione clandestina. Un po' somigliava a quelle di mio fratello Georg, insomma, nessuno sapeva esattamente con chi lui passasse le notti, nemmeno Georg stesso delle volte. Riuscivo a vederlo tutti i giorni, quindi non è che usassimo molto il cellulare per comunicare tra noi, ma il suo desiderio di adrenalina gli aveva fatto rompere una gamba, sciando sul tetto della centrale elettrica di Copenhagen, dove avevano costruito la Amager Bakke, chiamata anche Copenhill, ovvero un chilometro di piste da sci sintetiche con tanto di salti, trampolini e ostacoli. Era un prodigio di architettura, creato per ovviare all'assenza di pendii sul suolo danese. Io lo sapevo. Io studiavo geografia. Ero convinto che ci fosse un motivo per l'assenza di montagne, e il fatto era che noi danesi non sciavamo. Noi danesi navigavamo, e quando non c'era da navigare andavamo in giro con le navi sulle spalle, spaventando i nemici sui campi di battaglia. Almeno, questo era quello che facevamo qualche centinaio di anni fa. Ma la marina era ancora il fiore all'occhiello dell'esercito danese, io ero in marina, la scuola che avevo fato era un collegio esclusivo per l'educazione dei futuri ufficiali di marina.
    Gus si era rotto una gamba. Non potendo più lavorare avevo cercato di andare da lui il più anonimamente possibile, svincolando la mia guardia del corpo sostitutiva per andare a casa sua dopo l'università, ma con la nostra relazione segreta era difficile e stressante.
    Sarebbe tornato quel giorno, lo avevo segnato in agenda, ma lui mi aveva scritto sul numero privato, con la sua suoneria personalizzata della campanella che mi fece sobbalzare, per poi rimanere deluso dalle sue parole. Il medico gli aveva dato un'altra settimana di malattia.
    Demoralizzato passai la mattina un po' in palestra, ovviamente non in una palestra pubblica, e poi, dopo una breve doccia mi ero messo a giocare con la nintendo, in fondo avevo diciotto anni, quasi diciannove, e il libro aperto sul mio letto, nulla poteva contro un videogioco. Pranzammo in famiglia, quindi dovetti comunque mettermi diverso dalla tuta che avevo addosso, indossando una polo sopra i pantaloncini sportivi, tuttavia il pranzo che sarebbe dovuto essere, come mia madre voleva ogni giorno, un pranzo familiare attorno al tavolo, al solito, non era frequentato da tutti, Frederik e Beth non c'erano, Georg arrivò dopo la seconda portata, e Vilhelmina passò tutto il tempo, o quasi, al cellulare.
    Dopo che fummo congedati passai dalle cucine a prendere della carne per il mio cane, era un cucciolo, lo avevo adottato in Groenlandia, ed era un lupo groenlandese, quelli che gli esquimesi usano per le slitte, e, per selezionare i più forti, li crescono in degli isolotti vicino alla costa con pochissimo cibo, quindi per non morire di fame i più forti mangiano i più deboli della cucciolata. In Groenlandia Ivalo era andato, appena lo avevo adottato, quindi quando aveva sette mesi, a caccia di foche in un momento in cui era slegato fuori dal quartier generale della pattuglia Sirio, e ne aveva mangiata una adulta. A quel genere di cane non dai i croccantini o le scatolette, e così Ivalo continuava con la sua dieta di scarti di cucina che mangiava più volentieri. Era un cane, violento e morbosamente geloso di me, nessuno mi si poteva avvicinare, nemmeno Gus, per questo, e anche perchè aveva aggredito due dipendenti, aveva due ettari di parco recintati solo per lui.
    Ero chiuso nel recinto, quando udii una voce familiare alle mie spalle, una voce che, stadi a quella mattina doveva essere a letto una settimana in più. Mi voltai sorridendo vedendo Gus che congedava il collega prima di salutarmi dicendomi che voleva farmi una sorpresa.
    Sorrisi guardandolo negli occhi, mentre il mio cane ringhiava sommessamente, facendomi notare che, a lui Gus non piaceva, quindi, o sarei uscito io dal cancello rimanendo solo con il mio ragazzo, o qualcuno sarebbe rimasto morto. Uscii chiudendomi la porta dietro con il chivistello. Mi passai una mano tra i capelli sorridendo.
    «Ciao.»
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    Venivo da una relazione strana, che mi aveva assorbito per due anni interi. Niels aveva avuto il suo toyboy, il ragazzino inesperto, elettrizzato all’idea di essersi accettato e di poter fare ciò che voleva, lontano da sua madre e dal paesino di provincia che gli era sempre stato stretto. Avevo sviluppato una sorta di dipendenza da lui, credevo davvero che non avrei mai amato nessuno come Niels. Lo avevo fatto sentire più giovane, avevo riempito il suo ego mentre lui mi riempiva di regali, ma poi era stato arrestato e la sua crisi di mezza età si era ritrovata a testimoniare contro di lui - non che volessi vendicarmi, semplicemente non avrei mai mentito sotto giuramento in tribunale -, la magia si era spezzata, il mio mondo era crollato e davvero, per alcuni mesi, avevo pensato di non sarei stato più innamorato. Poi avevo conosciuto Chris, così riservato e maturo nonostante l’età, mi aveva inizialmente incuriosito, per poi ritrovarmi ad ammirarlo in silenzio, a pensare a lui anche quando non ero a lavoro. Il primo bacio glielo avevo dato quasi in preda al panico, dopo che per poco non me l’ero visto portare via ad un evento troppo affollato. Avevo avuto paura, per lui, non di perdere il posto, non aveva niente a che fare con me. Avevo paura di deluderlo, che gli facessero del male, che non sarei più riuscito a vederlo.
    Ed il nostro rapporto si era fermato lì, a qualche bacio, niente di più. Era totalmente diverso da ciò che avevo con Niels, che si basava solo sul sesso, io volevo stare con quel ragazzo anche solo per parlare, non potevo negare che alcune cose mi mancassero un po’ ma non erano di basilare importanza in quel momento della mia vita.
    Guardai cane e padrone in lontananza sorridendo. Chi diceva che i cani finiscono col somigliare ai padroni non aveva mai visto quei due. Chris era magro, con un volto dolce ed un sorriso contagioso, Ivalo era un lupo massiccio - nonostante fosse considerato ancora un cucciolo - e sembrava perennemente arrabbiato col mondo. Aspettai che uscisse dal recinto per avvicinarmi a lui. Avevo già controllato, eravamo soli, potevo concedermi quella piccola libertà. Feci pochi passi e presi il suo volto tra le mani, posandogli un leggero bacio sulle labbra, non troppo lungo.
    «Mi sei mancato...Credo di essere l’unico al mondo felice di tornare a lavoro», dissi separandomi e lasciando di nuovo qualche passo tra di noi. Niente abbracci troppo lunghi in pubblico per noi, chiunque poteva arrivare e probabilmente solo Lisbet era al corrente della nostra relazione. Sentii improvvisamente il desiderio di essere in camera sua, dove avrebbero potuto essere più tranquilli. Anche se sarebbe un arma a doppio taglio... Mi sono ripromesso di fare le cose con calma.
    Mi lisciai delle pieghe invisibili della giacca cercando di riprendere un comportamento professionale. «Che programmi abbiamo per oggi pomeriggio?», domandai. Dovevo sempre essere informato sulle sue intenzioni per la giornata, per tenerlo al sicuro al meglio, a differenza del mio vecchio lavoro, in cui mi limitavo per lo più a seguire il mio capo e ad allontanare da lui le persone sgradite.
    Segretamente speravo che non ci fosse nessun evento o manifestazione a cui andare, mi sarebbe piaciuto stare un po’ da solo con lui, anche se forse un comportamento del genere poteva sembrare sospetto a lungo andare. Qualcuno avrebbe potuto notare che il principe non faceva altro che stare solo con la sua guardia del corpo? Dalle telecamere avrebbero visto che io stavo più spesso dentro la sua camera invece che fuori? Erano solo alcuni dei problemi che mi facevo riguardo alla nostra relazione. Dovrei smettere di pensare così tanto!

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    Prima di Gus non avevo avuto nessuna relazione duratura, a dirla tutta non avevo mai raggiunto nemmeno quel punto in una relazione dove si porta l'altra persona a letto. Ero inesperto ed illibato, in tutti i sensi, per me tutto era nuovo, e con lui, tutte quelle cose nuove erano molto piacevoli e belle. Adoravo passare il tempo con lui, mi faceva un sacco di piacere spesso non vedevo l'ora che iniziasse i suoi turni in modo da vedere il suo sorriso meraviglioso.
    Passava molto tempo dentro i miei appartamenti, e non fuori, qualcuno lo avrebbe potuto rimproverare perchè così era poco efficiente avere una guardia del corpo che sta dentro la stanza a controllare chi viene da fuori, ma non mi importava, mi piaceva che lui fosse lì dentro con me, mi coccolava, parlavamo, passavamo del tempo qualitativo assieme come le persone che hanno una relazione non segreta.
    Lo accolsi salutandolo con un sorriso uscendo dal recinto del cane, e lui in tutta risposta mi donò un tenero bacio sulle labbra tenendo il viso tra le sue mani, quando sciogliemmo l'unione delle nostre labbra sorrisi muovendo il viso strusciandolo con la sua mano, come fa un gatto che cerca la sua carezza. Mi piaceva il contatto fisico con lui, era una cosa rassicurante, che mi faceva sentire amato, il lieve calore che provocava la sua pelle era un terprore di cui mi ero ritrovato dipendente.
    «Anche tu mi sei mancato moltissimo... non voglio che tu vada ancora alla Copenhill.... è pericoloso, rischi di farti ancora male»

    Dissi onestamente, non era perchè trovavo quello che faceva una cosa poco adatta alla sua nazionalità, in realtà ero terrorizzato che potesse ferirsi seriamente, io non potevo stare con lui, se lui era sei piedi sotto terra.
    Mi chiese che programmi avessi avuto per la giornata, e io in tutta risposta scrollai le spalle, non avevo nessun evento ufficiale nel mio programma quella giornata.
    «Nulla... dovevo studiare per l'università, ma ho giocato con la nintendo tutta la mattina, e dubito che con te riuscirei comunque a concentrarmi, quindi letteralmente nulla... »
    Dissi sorridendo prima di andare a cercare la sua mano mentre mi incamminavo nuovamente verso l'ingresso del parco dal palazzo. Non sapevo ancora se fossimo rimasti soli nella mia stanza a coccolarci, o se mi fossi messo il cappellino nero e gli occhiali da sole scuri prima di uscire con lui, come facevo quando andavo a casa sua di nascosto.
    «E non voglio fare nulla che non sia stare con te...»
    Dissi dovendo a malincuore lasciare la sua mano dato che eravamo tornati nel perimetro più frequentato del parco, o meglio, più che frequentato l'avrei definito controllato, dato che a quella poca distanza dal palazzo tutto era videosorvegliato.
    «Te cosa vuoi fare oggi?»
    Dissi sperando che mi rispondesse brevemente, dato che ormai eravamo all'incombenza della porta, altrimenti avrebbe dovuto attendere il mio ritorno in stanza prima di rispondere.
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    August Nørgaard
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    Quando ero piccolo mia madre non poteva permettersi di portarmi in vacanza lontano quindi mi ero appassionato agli scii solo da adolescente, durante una gita scolastica. Ogni anno da allora preferivo la settimana bianca allo stare sdraiato al mare a scottarmi e, con qualche sacrificio ed il mio aiuto, mia madre era sempre riuscita ad accontentarmi. Mi piaceva la velocità, saltare e fare piccole acrobazie ancora di più, non avevo una tecnica precisa e forse proprio per questo finivo spesso col sedere per terra, ma non mi dispiaceva. Non era così frequente che mi facessi male in modo grave ormai. Appena avevano aperto Copenhill non avevo perso tempo per provarla, era a dir poco geniale, ovviamente non era adatta a farci la settimana bianca, per quella avrei continuato ad andare in Svezia, ma l’idea di poter passare una giornata su quella discesa quando volevo mi aveva elettrizzato fin da subito.
    «Non è così pericoloso, sono stato poco attento io... Potremo tornarci insieme, tu da bravo principino devi far visita alle nostre opere architettoniche. O magari un giorno potremmo andare in una vera pista, per una vera vacanza», proposi. Era bello sognare, ma ciò a cui mi stavo riferendo era ad una sua vacanza con me a fargli da bodyguard. Non c’era concesso di andare effettivamente in vacanza insieme, non per ora almeno, ma mi sarebbe bastato. Non sarei stato io a spingerlo a fare outing, la sua era una posizione fin troppo delicata, anche se ci piaceva pensare che vivevamo in un paese libero dai pregiudizi, per la famiglia reale le cose andavano sempre più a rilento. Bastava pensare alla presenza di Arthur Lancaster in quella città con l’intento di farlo sposare con una delle sorelle di Chris.
    Mi disse che non aveva niente di particolare da fare ed io non potei che sorridere. Ormai ci stavamo avvicinando al palazzo ed avrei fatto meglio a parlare finché potevo, quindi non esitai a rispondere: «Anche io voglio solo stare con te... per adesso andiamo un po’ in camera tua e poi vediamo se ci viene altro in mente», dissi mentre aspettavo che lui entrasse così che io potessi camminare appena un paio di metri dietro di lui, una distanza che - me l’avevano detto all’interminabile corso post assunzione - era considerata adatta a difendere senza opprimere troppo.
    Arrivammo in camera sua ed io, come al solito non mi fermai fuori come avrei dovuto. Chiusi la porta alle mie spalle e tornai a guardarlo. Con poche falcate fui di nuovo su di lui, stavolta per un bacio vero, pieno di trasporto che voleva fargli capire quanto mi era effettivamente mancato durante quelle lunga assenza. Lo strinsi a me e mi staccai da lui per respirare solo dopo un po’ di tempo. Quella stanza era il nostro luogo sicuro, lì nessuno ci poteva vedere e chi arrivava bussava - non Lisbet, lei apriva le porte come se dovesse sempre fare un’entrata trionfale.
    Lo tenni abbracciato e appoggiai la fronte alla sua. «Se vuoi studiare torno là fuori», dissi in tono canzonatorio, con un finto broncio affranto. Sapendo che avrebbe preferito le coccole ai libri. Era il nostro primo giorno insieme dopo tanti in cui ci eravamo dovuti accontentare delle briciole, potevamo prenderci una pausa dal mondo. Lo baciai di nuovo delicatamente e lo presi per mano diretto al divanetto presente nella sua enorme camera. Stavo sempre ben attento ad evitare il letto quando stavo con lui, per ovvi motivi.

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    Oh, non saremmo mai andati insieme alla Copenhill, non mi interessava quel posto, era nella zona peggiore di Copenhagen, dove avrebbero potuto girare un film dispotico senza bisogno di molta altra scenografia. Amager era l'isola residenziale a sud della città, e la sua parte settentrionale era la terra delle grandi fabbriche, e delle centrali elettriche, esattamente dove avevano fatto la pista da ski. Non dissi nulla, non volevo risultare offensivo, ma io quando andavo a sciare andavo a Verbier, in Svizzera, dove la mia famiglia possedeva una dimora, oppure in Austria, ad Ischgl, dove i vicini di casa erano Elton John da una parte e Lenny Kravitz dall'altra; la Copenhill, per me era da poveri.
    «Magari andremo a Nuuk, ti mettiamo addosso un' uniforme dell'esercito e vieni con me a fare ski di fondo... almeno cinque chilometri tutti i giorni se vuoi rimanere nella divisione...»
    Tagliai corto sorridendo, prima di proseguire verso il palazzo fisico; mi disse che voleva stare con me facendomi arrossire, prima che lui sparisse tre passi e mezzo dietro di me, come ormai ero abituato. Camminai diretto verso il secondo piano, quello degli appartamenti e delle stanze da letto, mi destreggiavo bene tra i corridoi del palazzo, era casa mia d'altronde, ed era strano come ognuno di noi avesse un corridoio speciale. Non c'era da fraintendermi nessuno aveva un corridoio personalizzato, ma le porte delle nostre stanze si trovavano in corridoi diversi, io non avevo vicini di camera, ed in ognuno di questi corridoi c'erano appesi quadri di diverse tematiche. Quella davanti agli appartamenti reali aveva la nostra intera cronologia familiare dal millecinquecento in avanti, davanti alla stanza di Frederik c'erano ritratti equestri di grandi sovrani e dei vasi sempre ricolmi di peonie rosa, probabilmente per richiesta di Héloïse.
    Davanti alla mia c'erano solo due quadri, ma entrambi di grandi dimensioni, circa tre metri per due, erano entrambi di fine diciannovesimo secolo, di Otto Bache ed entrambi rappresentavano la cavalleria reale nel porto di Copenhagen. Orientarsi tramite i quadri spesso era la maniera più facile per trovare la strada a palazzo, e lo avevo imparato sin da piccolo.
    Entrai in camera mia e lui entrò dopo di me, aspettando pochissimi attimi prima di baciarmi con trasporto e passione, che ovviamente ricambiai. Mi strinse a se e io feci altrettanto, assaporando ogni attimo della nostra riunione. Rimanemmo stretti mentre lui mi diceva che se dovevo studiare lui tornava fuori.
    «Non devo studiare... devo stare con te...»
    Dissi prima che lui riprendesse a baciarmi portandomi con se sul divanetto davanti al caminetto. Mi sedetti sopra di lui più che con lui, e continuai a baciarlo, quasi volessi sfidare la nostra abilità di muoverci mentre ci baciavamo. Ne approfittai della mia posizione sopra di lui per strusciarmi un po' sul suo corpo, quel contatto che immaginavo che gli fosse mancato almeno tanto quanto era mancato a me, cosa che ora non riuscivo a smettere da fare, ora che si, lui era lì con me, fisicamente e non dall'altra parte di una cornetta.
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    Chris sembrò preferire la mia seconda idea alla prima: quella di andare a fare una vera vacanza in un posto in cui si sciava su neve vera. Ovviamente propose anche una soluzione per nascondermi dai paparazzi e altri occhi indiscreti. L’idea non mi piacque più di tanto, tutte quelle limitazioni erano stancanti nella vita di una coppia ed ero abbastanza sicuro che mettendomi l’uniforme senza essere un militare vero, mi avrebbe creato problemi. «Però non potrò fare salti in uniforme», dissi storcendo la bocca, facendo finta che quello fosse l’unico problema, anche se era il più trascurabile tra tutti quelli che avevamo. Ormai per me sciare significava fare piccole acrobazie, ma ne avrei fatto a meno se voleva dire poter stare con lui sulla neve, anche perché dopo quella caduta avevo seri dubbi che avrebbe preso di buon grado l'idea che saltellassi davanti ai suoi occhi.
    Entrammo nel palazzo ed io iniziai a seguirlo come avrei dovuto fare sempre finché non arrivammo alla sua stanza. In quel momento l'unica cosa che volevo era stare vicino a lui. Fisicamente attaccato per meglio dire, mi era mancato come non credevo fosse possibile. Il bacio ci portò al divano e sentirlo strusciarsi contro di me mi riempì di aspettative che forse uno che "vuole andare piano" non dovrebbe avere. Ma in fin dei conti non fare sesso non significava che non dovessimo fare niente in assoluto, stavamo insieme da un po' ormai e non sapevo per quanto ancora sarei riuscito a fare il bravo. Decisi che potevo concedermi di perdere il controllo per un po', anche se l'ultima volta che era successo mi ero ritrovato con una gamba rotta. Mi strusciai a mia volta soffocando un gemito sulla sua bocca, lo strinsi a me e scesi con la mano destra sotto la sua maglietta. La sua belle sembrava più liscia a contatto con la mia ma lo trovai piacevole, esplorai la sua schiena mentre lasciavo le sue labbra per dedicarmi al suo collo. Non era niente di strano ma per noi, che fino a quel momento non eravamo mai stati così intimi, era un piccolo passo avanti, anche io che sarei dovuto essere più abituato mi sentivo euforico. Capii che una cosa avrebbe tirato l'altra quando sentii i pantaloni del mio completo nero farsi più stretti, ma ancora non mi fermai. Tolsi la mano da sotto la sua maglietta e la feci scendere sul suo sedere, tenendolo vicino a me mentre mi muovevo contro di lui per qualche secondo, per poi spostarmi sul davanti. Lo toccai da sopra i pantaloncini e gli accarezzai il ventre per un po' finché non mi fermai con le dita pericolosamente vicine al bordo dei suoi shots. Parte di me aveva una disperata voglia di continuare, l'altra metà percepì quel bisogno come un campanello di allarme. La seconda ebbe la meglio, forse perché non eravamo ancora ad un punto di non ritorno, forse perché la paura di fargli male l'avrebbe avuta vinta sempre. Mi staccai da lui, cercando di spingerlo verso l'alto per poterlo vedere meglio negli occhi. «Forse è meglio se ci calmiamo?», dissi mio malgrado. «Vuoi giocare alla Nintendo?». La domanda mi sembrò assurda non appena oltrepassò le mie labbra, sembravo un ragazzino piuttosto che un adulto. A volte avevo l'impressione che io fossi l'unico a voler fare le cose lentamente. Lasciai andare un sospiro di frustrazione quando mi resi conto che nonostante quella pausa avesse ucciso l'atmosfera, niente sembrava cambiato lì sotto.
    «Scusa io non... Forse è meglio se ti alzi», chiesi esasperato. Intanto mi resi conto che la sua maglia si era leggermente alzata e gliela rimisi a posto. «Lo sai, non voglio farti male».

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